Ciao Giulia, ci racconti chi sei?

 

“Mi chiamo Giulia Panizza, ho 41 anni, sono sposata e mamma di un bimbo di quasi 6 anni. Sono nata e cresciuta a Genova, dove ho compiuto i miei studi, conseguendo una formazione accademica in ambito umanistico.

Da oltre 12 anni lavoro in una delle principali aziende di ICT del panorama ligure e ogni giorno porto avanti i miei impegni familiari e professionali con passione e dedizione, due caratteristiche che da sempre accompagnano il mio cammino.

Sono volontaria dell’Associazione Nazionale per la Lotta al Neuroblastoma e dallo scorso mese di aprile sono stata eletta nel Consiglio Direttivo di FIAGOP, due incarichi di cui sono profondamente onorata perché raccontano elementi fondamentali della mia storia personale.”

Raccontaci della tua esperienza come ricevente

“Nell’agosto del 1981, a poco più di 5 mesi di vita, sono stata sottoposta ad un intervento di laminectomia dorso lombare per l’asportazione di una massa tumorale che, dai gangli surrenali, si era estesa con infiltrazioni nel canale midollare, determinando la perdita dell’uso degli arti inferiori. Si trattava di un Neuroblastoma, un tumore molto aggressivo e già in fase avanzata, per il quale fu necessario procedere con un intervento chirurgico molto invasivo. Fu chiesto ai miei genitori di prodigarsi, per come fosse loro possibile, nella ricerca di donatori di sangue, perché i medici ipotizzavano che ce ne sarebbe stato un grande bisogno anche nel decorso post operatorio.

La risposta a questa chiamata d’aiuto fu straordinaria e ben oltre le aspettative . Amici, parenti, ma anche colleghi di lavoro dei miei genitori si recarono all’Istituto Giannina Gaslini di Genova, presso cui ero in cura, per donare per me.

In un’epoca storica diversissima da quella in cui viviamo oggi, in cui la condivisione del dolore era un totale tabù e la stessa parola “tumore” non veniva pronunciata, preferendo riferirsi, sottovoce, a un “brutto male”, tale era la paura al solo nominare questa malattia, quella risposta forte e corale fu come un meraviglioso abbraccio che avvolse tutta la mia famiglia.

Quel grande, immenso dono non venne mai utilizzato per me, perché le mie condizioni di salute non furono tali da necessitarne il ricorso. Ma il ricordo e l’emozione che lasciarono alla mia famiglia furono molto importanti, in particolare per mio nonno materno, che proseguì, finché gli fu consentito dall’età e dalle sue condizioni di salute, ad essere un donatore per il resto della vita.”

Perché oggi è importante fare donazione?

“Negli oltre 40 anni trascorsi dall’inizio della mia vita ad oggi moltissime cose sono cambiate, è successo grazie al costante impegno della ricerca scientifica, dei medici e di tutti gli operatori sanitari, dei volontari e delle molte associazioni attive sul territorio nazionale ormai da decenni. Le aspettative di vita oggi possibili per gli ex pazienti oncologici pediatrici, e non solo, hanno raggiunto risultati straordinari.

Resta tuttavia ancora molta strada da fare ed è per questo che non deve mai venir meno l’attenzione di tutti noi rispetto a determinate situazioni. Affrontare certi percorsi di cura, soprattutto nel caso in cui siano coinvolti dei minori, ha un impatto su tutta la famiglia e di conseguenza un’estensione sociale ben più ampia del singolo paziente. Dobbiamo tutti sentirci chiamati a rispondere a questa chiamata di solidarietà: possiamo essere tutti “parte della cura” che accompagnerà i nostri piccoli e grandi guerrieri verso la guarigione e tutta la vita che è già pronta ad aspettarli.”

Hai un messaggio per chi sta per ricevere una donazione / trapianto?

“Nell’epoca storica in cui ho affrontato io la malattia, guarire dal tumore non era la regola. Oggi non è più così e in tutti coloro che stanno affrontando questo duro cammino deve esserci questa luce di speranza, perché è vera, è concreta.

Una luce di speranza può arrivare anche sotto forma di una donazione di sangue o un trapianto, magari da un totale sconosciuto, che oltre a non avere con il paziente nessun legame personale/familiare, magari non ha nemmeno nulla a che vedere con il mondo della ricerca, della medicina o del volontariato, ma ha semplicemente e straordinariamente compreso che nessuno può essere lasciato da solo, soprattutto se sta attraversando queste situazioni di grande difficoltà.

E’ una luce di speranza che ci ricorda la meraviglia della vita, quando sceglie di uscire fuori dal personale egoismo e si apre alla forma più alta, più generosa del dono, ossia offrendo parte di se stessa.”

Fonte dell’articolo: https://www.pazienti.it/

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